Immaginate un mondo senza banche centrali né politiche monetarie: sarebbe il trionfo della decentralizzazione e l’epilogo del potere di censura finanziaria. Ma con molte opportunità per i nemici della democrazia
Immaginate un mondo in cui non sia lo Stato a stampare moneta. Un mondo in cui non ci siano né banche centrali né politiche monetarie. In questo sistema fittizio, la formula dell’uno-vale-uno spazza via intermediazione istituzionale e intervento governativo. Lo scambio di moneta, un tempo supervisionato centralmente, è ora gestito dagli utenti. È il trionfo della decentralizzazione e l’epilogo del potere di censura finanziaria di banche e altri intermediari.
Il mondo immaginario su descritto è il nirvana terrestre inseguito dai sostenitori del Bitcoin, la principale criptovaluta in circolazione. La rivoluzione Bitcoin ha inizio il 31 ottobre del 2008 con la distribuzione via mailing list del Bitcoin white paper, un breve articolo che definisce gli elementi fondanti della tecnologia blockchain, database di transazioni consultabile da tutti, la cui sicurezza è garantita dal rigore matematico della crittografia. Questa tecnologia è alla base del Bitcoin. L’identità dell’autore – noto con lo pseudonimo di Satoshi Nakamoto – è tutt’oggi ignota.
Inizialmente frequentato da un circolo ristretto di attivisti libertari appassionati di crittografia e diritto alla privacy nel tempo il bacino di utenti Bitcoin è cresciuto fino a comprendere esponenti della destra alternativa
Inizialmente frequentato da un circolo ristretto di attivisti libertari appassionati di crittografia e diritto alla privacy – i cosiddetti cypherpunk – nel tempo il bacino di utenti Bitcoin è cresciuto esponenzialmente, fino a comprendere terroristi ed esponenti della destra alternativa. Quest’ultima, nota anche con l’abbreviazione inglese Alt-Right, è salita alla ribalta della cronaca internazionale dopo l’assalto al Campidoglio statunitense del 6 gennaio di quest’anno. Tra gli aspetti degni di nota rientra proprio il Bitcoin: nei giorni precedenti all’assalto, esponenti dell’Alt-Right hanno ricevuto ingenti donazioni in questa criptovaluta. Il connubio tra destra alternativa e Bitcoin non è, tuttavia, una novità. Già nel 2017, Robert Spencer, figura di spicco del controverso movimento suprematista bianco, dichiarò il Bitcoin «moneta dell’Alt-Right». La ragione dietro questa relazione è innanzitutto pratica; tuttavia, come esposto più avanti, c’è una componente di carattere ideologico da non sottovalutare.
Dal punto di vista pratico, la natura decentralizzata di queste valute attrae quanti si muovono ai limiti della legalità. Si pensa spesso che tale attrazione sia motivata dal presunto anonimato garantito ai possessori di portafogli digitali. Tuttavia, per quanto più difficili da tracciare rispetto ai conti correnti tradizionali, transazioni in Bitcoin e altre criptovalute non sono anonime ma pseudo-anonime. Lo pseudo-anonimato fa sì che sia (spesso) possibile associare un’identità a un portafoglio digitale. Una procedura complessa ma di routine per società specializzate in materia. È in virtù dello pseudo-anonimato che sappiamo che nei giorni precedenti l’assalto a Capitol Hill, 22 portafogli digitali collegabili all’estrema destra hanno ricevuto donazioni pari a 500.000 dollari. Un’ulteriore ragione pratica è il cosiddetto de-platforming, pratica attuata da piattaforme online (in questo contesto, piattaforme come Paypal e Google Pay) volta a interrompere la fornitura di un servizio (la possibilità di ricevere donazioni digitali) a quanti abbiano assunto in pubblico posizioni considerate offensive e inaccettabili.
Ma lo pseudo-anonimato e la ricerca di sistemi di pagamento alternativi non sono la sola fonte di attrazione: le affinità ideologiche tra le due realtà sono un aspetto meno discusso ma assai significativo. Per molti militanti Alt-Right – in particolare quanti si rifanno alla tradizione libertaria – sussiste una simbiosi profonda tra i valori professati dal loro movimento e il sistema Bitcoin. Ricordate il mondo immaginario descritto in apertura: i Bitcoin sono una moneta senza Stato. L’antistatalismo è tra le parole d’ordine del movimento cypherpunk all’origine della rivoluzione Bitcoin, nei cui ranghi militano libertari radicali che vedono nel computer e nella crittografia non semplici strumenti di comunicazione, ma mezzi per cambiare il mondo e perseguire obiettivi politici e sociali. Tra le loro ossessioni risalta quella di porre fine alla sorveglianza governativa. Assegnano un valore importantissimo alla privacy, diritto inalienabile e assoluto da proteggere non tramite leggi – espressione del potere statale e, quindi, oppressive della libertà individuale – ma da principi matematici. Ne consegue che ogni tentativo statale di regolare internet e porre limiti al godimento della privacy sia percepito da essi come sostanzialmente anti-democratico. Il Bitcoin, moneta non coniata dallo Stato ma «minata» tramite la potenza di calcolo di computer sparsi per il mondo, rappresenta la messa in pratica di questi ideali.
Ed è proprio al rapporto tra teoria e pratica che si deve prestare attenzione al fine di comprendere l’attrazione verso il Bitcoin da parte della destra alternativa. David Golumbia, nel libro The Politics of Bitcoin: Software as Right-Wing Extremism (2016), sostiene come il Bitcoin non sia un mero e innocuo strumento; quanto un propagatore di principi profondamente antistatali e anti-democratici. A suo avviso, il Bitcoin è inestricabilmente legato a una precisa ideologia, quella dell’estremismo libertario di destra. Un’ideologia che ritroviamo espressa non solo negli scritti pubblicati negli anni dal movimento cypherpunk, ma nel Dna stesso della loro innovativa creazione. Un esempio è quello dell’inflazione, considerata dalla tradizione libertaria mezzo adoperato dallo Stato per incassare denaro ai danni della gente comune. I sostenitori del Bitcoin rivendicano spesso come questa moneta sia scevra dal rischio inflazionistico in virtù di un meccanismo iscritto nell’algoritmo crittografico generato da Nakamoto – l’emissione limitata a 21 milioni di Bitcoin – finalizzato a garantirne la scarsità nel tempo.
L’idea di una moneta che non conosca frontiere è affascinante: sarebbe un peccato lasciare che siano estremisti e terroristi a coglierne i frutti
L’ostilità verso l’inflazione e, più in generale, verso l’intervento statale accomuna i cypherpunk all’estrema destra libertaria; ostilità che quest’ultima spesso motiva ricorrendo a teorie cospirative razziste e antisemite. Uno sguardo veloce a siti web frequentati da quest’ultima rivela i leitmotiv utilizzati per giustificare l’intolleranza verso l’intervento governativo: dall’idea che lo Stato non sia altro che strumento di oppressione della razza bianca, alla convinzione che il sistema finanziario sia interamente controllato dagli ebrei. Il passo tra queste teorie del complotto e il Bitcoin è breve. Non solo per le motivazioni pragmatiche esaminate in precedenza, ma per la chiara risonanza con il pensiero che ha ispirato la creazione di questa criptovaluta. Risonanza che spesso lascia tracce visibili, come il codice «1488», che appare nelle cifre di molte transazioni effettuate da neonazisti e suprematisti bianchi, chiaro richiamo allo slogan «Noi dobbiamo garantire l’esistenza del nostro popolo e il futuro dei bambini bianchi», composto da 14 parole; e al saluto nazista «Heil Hitler», spesso indicato con 88 in richiamo alla posizione della lettera H nell’alfabeto.
Ma i risvolti dell’alleanza tra estrema destra e Bitcoin vanno oltre il piano simbolico, per quanto disturbante. L’accesso a una sistema di pagamento decentralizzato, pseudo-anonimo e non soggetto al controllo statale ha un impatto pratico non trascurabile in quanto offre a formazioni non democratiche la preziosa possibilità di raccogliere, con estrema facilità e attingendo a un bacino transnazionale, donazioni sostanziose che andranno poi ad alimentare campagne d’odio e, finanche, atti terroristici – come l’attacco a Capitol Hill dimostra.
La stragrande maggioranza degli utenti Bitcoin, è indubbio, si avvicina a questa innovativa valuta ignara dei retroscena descritti poc’anzi, attratta dal potenziale di investimento più che dal significato simbolico da essa rivestito. Eppure, se la tesi avanzata da Golumbia ed esaminata in precedenza è valida, è bene intavolare una discussione pubblica sul tema. Alcune istituzioni statali sono già intervenute al fine di chiarire lo status fiscale di queste nuove valute (si noti che l’Italia rimane tra i pochi Paesi Ocse a non disporre di una regolamentazione ad hoc) ed esaminare i rischi posti dalle stesse in termini di riciclaggio e finanziamento di attività illecite. Questi aspetti sono fondamentali ma non sono i soli nodi da sciogliere. Come esposto in questo pezzo, il Bitcoin, così come concepito, non è un semplice medium. I suoi più ardenti sostenitori vedono in questa valuta la messa in pratica di un chiaro messaggio antistatale imperniato attorno all’equazione tra Stato e negazione della libertà individuale. È questa un’idea non compatibile con i presupposti delle nostre democrazie liberali, fondate come sono sul principio che l’intervento statale sia talvolta necessario al fine di garantire una libertà effettiva.
Con questo non si intende sminuire i vantaggi che una moneta digitale chiaramente può apportare a una società globale. Pertanto, iniziative come quelle avviate da alcune banche centrali, volte a esplorare la possibilità di introdurre valute digitali garantite centralmente, sono da incoraggiare. L’idea di una moneta che non conosca frontiere è affascinante: sarebbe un peccato lasciare che siano estremisti e terroristi a coglierne i frutti. Conciliare le valute digitali con l’intervento pubblico è possibile e auspicabile.